di SIMONE IPPOLITI / TOFFIA – Con fatica prende una sedia, la trascina fin sotto alla finestra, ci sale sopra e guarda fuori. Da lì vede il Monte Santa Maria e il picco del Terminillo. È questo che dalla sua stanzetta la piccola Maria spia ogni giorno. Quel mondo che la stava attendendo, fatto di lavori improvvisati, di sacrifici tra le vie di Toffia. In giro per il mondo, disegnando un percorso netto, fino a tornare 50 anni dopo proprio tra quelle mura che l’hanno vista prima bambina e poi artista.
Ho avuto una vita ricca e movimenta – racconta a Qui News Maria Petrucci – e grazie all’arte ho avuto la fortuna di girare il mondo. Il mio è stato un dono, non ho fatto alcuna scuola di formazione e addirittura mi sono trovata ad insegnare ad altri. Essere artista è bellissimo perché puoi trasmettere le tue sensazioni.
Il 1972, quando aveva 34 anni, un evento segna per sempre il suo destino. Mio marito era un falegname; un giorno ero con lui, cominciai a maneggiare dei pezzi di legno. Incuriosita gli chiesi di portarne qualcuno a casa. Mi misi su una sedia, con la legna sulle ginocchia, e magicamente prese vita la mia prima scultura che chiamai . Difficile dire se è l’opera alla quale sono più affezionata, le amo tutte, come quando chiedevo a mia madre se ero la sua preferita <Impossibile rispondere!> mi diceva. In quel periodo dipingevo anche – aggiunge Maria – ma un giorno, il primo critico di Mantova vide quel mio primo lavoro nato dal legno e disse <Cara Petrucci, non dipinga, ma scolpisca, scolpisca e scolpisca!>. Pensai che fosse matto! (ride ndr) e invece aveva ragione.

“Intimità familiare”

Una vita in viaggio, raccogliendo esperienze, provando emozioni spesso tramutate in quadri o sculture, fino a tornare a Toffia, quando il 22 dicembre del 1991, in via della Rocca 21, viene inaugurato il museo. Comprai l’abitazione dalle mie sorelle che l’avevano ricevuta in eredità. In quegli anni avevo realizzato molte opere e decisi di esporle. Inizialmente – precisa Maria – il museo si chiamava “Casa Raniero”, ma poi mi accorsi che i visitatori pensavano che l’autore di tutti quei lavori fosse stato tale Raniero (il padre ndr) e per questo cambiai il nome in ‘Museo Maria Petrucci Casa Raniero’. Qui a Toffia – racconta Maria – mi adorano e sanno quello che valgo. Ho dedicato molto al recupero della storia del paese e tutto quello che può riguardante il passato. In questo momento sto lavorando a delle lettere di Ilario Castellani, scritte tra il 1915 e il 1938; i telegrammi di allora, tanta documentazione. Nel corso di questi anni il museo ha avuto una grande importanza e molti visitatori: un gran numero di ragazzi, Sindaci e personalità di spicco.
Ma gli anni scorrono, le realtà cambiano e Maria di gente passare sull’uscio di quella porta che non è solo un museo, ma anche la casa in cui vive, ne ha vista tanta. All’entrata c’è un registro sul quale chi viene a fare visita può lasciare una sua personale dedica. A Toffia sono venute ad abitare nuove persone e gli anziani con i quali sono cresciuta, se ne sono quasi tutti andati. Il paese è meno frequentato, anche perché ora si ha la possibilità di spostarsi con più facilità e si vive meno il quotidiano. Solitamente – aggiunge Maria – accolgo i visitatori con qualche ciambella e un tè, per creare un clima conviviale. Se qualcuno si presenta e mi trova in vestaglia e ciabatte, nessun problema! A parlare per me sono le opere. La mia vita è il museo.
Un patrimonio che Toffia deve tenere stretto, coccolandolo tra i vicoli di un paese che ha tutte le carte in regola per spiccare, farsi conoscere e non nascondersi. La bellezza è un dono e le cose belle vanno mostrate.

“Parole nell’etere”

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