Uno degli aspetti più complessi nei rapporti fra coniugi separati è quello che concerne l’educazione dei figli. Nell’attuale momento storico, infatti, assume sempre più frequenza il fenomeno dell’affidamento condiviso dei figli minori. Attraverso tale sistema entrambi i genitori hanno la medesima possibilità di incidere e determinare le scelte sull’educazione, il mantenimento, lo sviluppo fisico e psicologico dei propri figli. Il sistema garantisce, quindi, pari dignità ed efficacia all’azione di entrambi i genitori ma, quale rovescio della medaglia, comporta spinose questioni da affrontare in caso di divergenze di vedute fra i coniugi, capaci di generare conflitti aspri e di lunga durata che si riverberano, purtroppo, sulla serena crescita della prole. L’ordinamento giuridico prevede, in questi casi, che ciascuno dei due genitori possa ricorrere al giudice per ottenere un provvedimento che risolva la questione. In tal modo, il Giudice, terzo ed imparziale, si sostituisce ai genitori nelle scelte su cui vi è disaccordo, permettendo di superare il rischio di uno stallo prolungato nel tempo. Ma quali criteri dovranno guidare il Giudice nella sua decisione? Ovviamente, in primo luogo, l’interesse del minore.

Nel fare la propria scelta, il magistrato deciderà “con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale” della prole (così si esprime l’art. 337 bis del codice civile). Di volta in volta, pertanto, i magistrati valuteranno, sulla base delle ultime nozioni in materia di evoluzione psicologica, medico scientifica e, non ultimo, buon senso, quale provvedimento garantisca, nel concreto, la soluzione migliore per i figli. Cosa succede, però, nei casi in cui tale interesse non sia immediatamente riconoscibile? Ad esempio se il disaccordo fra i genitori concerne la scelta fra due diverse filosofie di vita? Recentemente, il Tribunale di Roma ha provato a dare una risposta. Chiamato a decidere sul disaccordo fra una madre che aveva deciso per la figlia una dieta rigorosamente vegana ed il padre della bambina che, al contrario, auspicava una dieta di tipo tradizionale, ha dato ragione a quest’ultimo. Il provvedimento è stato motivato sulla base di una valutazione statistica: per il Tribunale, poiché la maggioranza della popolazione si è sviluppata correttamente con una dieta di tipo tradizionale, quest’ultima è la scelta più sicura. Si tratta, però, di una risposta non del tutto convincente, non tanto per i contenuti quanto per il metodo. Non sempre, infatti, è dato rintracciare nella popolazione una distribuzione statistica così netta come nel caso trattato. Sul punto, quindi, ancora molto lavoro attende la giurisprudenza, il Legislatore e, non certo per ultimi, gli stessi genitori.

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