L’uscita di “Roma”, film trionfatore alla 75a Mostra di Venezia ed opera maestra del regista messicano Alfonso Cuaron, premio Oscar 2014 per “Gravity”, segna una data epocale nella storia del cinema. E purtroppo non per gli innegabili meriti artistici dell’opera. “Roma” è rimasto nelle sale solo 3 giorni, il 3, 4 e 5 Dicembre, in attesa di andare in pasto al ben più vasto ed eterogeneo pubblico di Netflix, che ha prodotto la pellicola. La compagnia americana, dopo aver lanciato serie televisive dal successo planetario, a partire dalla ormai storica “House of cards”, e film per facili appetiti, ha infranto l’ultima barriera, inserendo nel proprio menu una pietanza finora riservata solo a palati eletti: il cinema d’autore. E a Venezia ha calato i suoi assi: oltre a “Roma” appunto, “La ballata di Buster Scruggs”, con la nobile firma dei Fratelli Coen, ma anche il nostro “Sulla mia pelle”. Chi vi scrive non ha avuto dubbi e si è precipitato al cinema, dove però tutte le sue perplessità si sono amplificate. Come apparirà, sia pur su uno schermo di ultima generazione, quel bianco a nero così perfettamente calibrato? Ma soprattutto, come ci si potrà immergere in tanta emozione, al di fuori del mistico raccoglimento della sala, tra il latrare del cane del vicino e l’odore di fritto della cucina? Una prospettiva blasfema, ma tant’è. “Roma” è un film carico di affetto, un grande abbraccio narrato attraverso tanti abbracci. Un atto di amore infinito di un uomo, Alfonso Cuaron, che scavando nei ricordi di un’infanzia datati 1970, ritrova il pilastro della sua formazione e ne costruisce il monumento. Protagonista assoluta del film è Cleo, domestica india (straordinariamente interpretata dalla esordiente Yalitza Aparicio), le cui vicende scorrono parallele a quelle della famiglia borghese in cui lavora e di un Messico tormentato dalle agitazioni sociali. La storia di una donna semplice, capace non solo di affrontare le sue personali vicissitudini, ma anche di tener unita, con la forza di una dedizione incondizionata, una casa che rischia di sgretolarsi sotto il peso delle sue stesse ipocrisie. Lo iato fra il proletariato ed il ceto benestante, che caratterizza lo società messicana dell’epoca, si riproduce in un gioco di cerchi concentrici nelle mura domestiche, dove è lei, la povera india, che pulisce ogni lordura, che assiste, nutre, accudisce e alla fine salva. Una storia intima, ma al contempo un affresco storico ed un manifesto politico: “Roma” riesce ad essere tutto questo, come solo i grandi film sanno fare. Il tutto accompagnato da una tecnica rutilante: inquadrature dosate al millimetro che creano composizioni di grande impatto visivo, piani sequenza avvolgenti, una fotografia raffinatissima, che pennella perfettamente le scale di grigio. Ora tanta bellezza è destinata a finire nelle case. Noi ci affidiamo fiduciosi ai registi, certi che sapranno adattare la loro tecnica ai nuovi canali di comunicazione, ma questo pensiero inevitabilmente ci rattrista. Il 3 Dicembre, se il cinema ha dimostrato di non voler morire, il suo luogo di culto, la sala cinematografica, ha cominciato pericolosamente a scricchiolare.

ECCO LA PAGINA DI QUI NEWS NELL’EDIZIONE DEL 13 DICEMBRE 2018

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