di GABRIELLA TORRE/FARA SABINA – Tu, placido, pallido ulivo, / non dare a noi nulla; ma resta! /ma cresci, sicuro e tardivo, / nel tempo che tace!

Forse Giovanni Pascoli non ha mai visitato la nostra terra, ma rileggendo questi versi è impossibile per chi vive in Sabina non pensare a uno dei simboli per eccellenza del nostro territorio: l’ulivo di Canneto o, come meglio noto, l’Ulivone. Mai nome fu più adatto con le sue dimensioni colossali di 6 metri di diametro nel punto più stretto del suo tronco e più di 15 metri di altezza che ne fanno l’Ulivo più grande d’Europa. Un vero e proprio gigante buono che sorveglia le terre di Sabo da migliaia di anni, divenendo testimone e, allo stesso tempo, testimonianza della nostra storia e cultura. Sull’età di questa pianta non si hanno dati certi, (dai 1000 ai 2000 anni) e c’è addirittura chi lo fa risalire all’epoca del grande Numa Pompilio, secondo Re di Roma e sabino di nascita. Alcuni invece dicono sia stato piantato dai monaci di Farfa quando provvidero a bonificare le zone intorno all’anno 1000. Corre l’anno 1865 quando la famiglia Bertini compra dai monaci di Farfa il terreno, su cui sorge la pianta. Da quel momento la vita dell’Ulivone si lega indissolubilmente alla sua nuova famiglia e ne diviene un membro a tutti gli effetti: “Quando l’altra mattina, a causa del cattivo tempo ho visto che si era staccato un ramo, mi è preso quasi un infarto –
racconta a Qui News il Signor Ottavio, attuale proprietario del terreno – ho troppi ricordi legati a quella pianta, da piccolo ci giocavo intorno, con gli altri bambini… mi ci nascondevo dentro addirittura”. Parecchi anni prima infatti, suo papà aveva praticato un foro nel tronco, pensando che la pianta si fosse ammalata, ma per fortuna non fu così: “In realtà si era sbagliato, la pianta stava benissimo e con il tempo fortunatamente il tronco è guarito e il buco è andato richiudendosi”. L’Ulivone ancora oggi gode di ottima salute: “Non ha bisogno di particolare cure… è un albero forte e produce tantissimi olive. Solo con le sue si arriva a produrre un centinaio di litri di olio”.

Una vera e propria ricchezza per cultura, per storia, per il patrimonio gastronomico. Viene da chiedersi quanto sia valorizzato. “In realtà non sono tantissimi i turisti che vengono – ci ha risposto Ottavio – La maggior parte sono pellegrini impegnati nell cammino di S. Francesco. Nelle loro mappe è indicato e hanno piacere di venirlo a visitare. Prima le scuole organizzavano delle gite ed era una cosa bellissima: aiutava i bambini a capire l’importanza delle tradizioni e della nostra cultura, ma anche il rispetto per la natura. Quando venivano preparavamo delle bruschette con l’olio… abituati con le merendine, le mangiavano di gusto”. Ed è veramente un peccato. In un momento storico come questo, l’Ulivone di Canneto rappresenta un’altra occasione sprecata: in un territorio come il nostro in cui la tradizione, la cultura e il paesaggio possono essere realmente fonte di sviluppo, di lavoro, di investimenti si dovrebbe apprezzare l’importanza di queste ricchezze. Riconoscerle e dar loro lo spazio e l’attenzione che meritano.

 

 

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