Il bullismo è sempre esistito”. Sono in tanti a ripetere questo ritornello. Un’affermazione falsa, superficiale e soprattutto, fuorviante. Chi la sostiene non ha mai messo il naso dentro una scuola, dentro una classe. Certamente esistevano anche prima casi di prepotenze, più o meno gravi, tra bambini e ragazzi, ma negli anni passati esistevano ancora genitori, che sapevano funzionare in quanto tali, e insegnanti che erano consapevoli di esercitare e condividere con i genitori la funzione di educatori, orgogliosi di insegnare anche le preziose leggi della vita collettiva e morale, senza sentirsi sminuiti, come troppo spesso accade oggi.

Partiamo dai genitori. L’ideologia educativa su cui si sono formati i genitori di oggi, è quella del dialogo, quella secondo cui i bambini non vanno educati, si regolano da soli; non vanno corretti, altrimenti li si traumatizza; va loro consentito di esprimersi, perché è un loro diritto. Abbiamo a che fare con genitori-amici; si arriva alla perdita di vista di ruoli, confini, limiti, punti di riferimento sia per i genitori e tanto più per i figli, fenomeno che porta a questo risultato: bambini dilaganti, senza limiti, bambini tristemente resi tiranni e resi adulti a partire dalla nascita. Bambini invadenti al di là di ogni sopportazione, assolutizzanti. Il bambino rimane solo nelle sue scelte, e lo si crede in grado di compierle; poi, quando sbaglia, lo si deve perdonare, perché tutto si deve tollerare.

Arriviamo agli insegnanti. Scuola dell’Infanzia, partiamo da questa. Sono sempre più numerosi i bambini che si avviano sul cammino della socializzazione, che dopo pochissimo tempo, presentano “problemi di comportamento”. Per gli insegnanti quindi si pone un problema serissimo: che fare? Tanto più che i genitori riversano su questi una serie sconsiderata di richieste e aspettative sul lavoro scolastico, didattico. D’altra parte, è vero che nelle scuole italiane e non solo, per la colonizzazione subita in varie forme dal mondo anglosassone e statunitense, da circa quarant’anni domina un orientamento che va sotto il nome di cognitivismo. Questa particolare visione del mondo sostiene il predominio assoluto degli aspetti razionali e logici, tutti sotto lo stretto controllo dell’emisfero sinistro del cervello. La radicalizzazione di queste convinzioni ha portato all’eliminazione di qualunque attenzione da parte di tanti insegnanti agli aspetti delle emozioni e da parte di tantissimi genitori, all’educazione alla vita. Succede però che nella Scuola Primaria una delle piaghe più gravi è quella della disciplina. Ma paradossalmente la disciplina non viene riconosciuta come una necessità. Un numero sempre maggiore di bambini presenta in ogni classe, tanti atteggiamenti “diversamente problematici” in tutti gli ordini scolastici. In parte vengono tollerati perché ascritti erroneamente alla categoria della “vivacità”. A livello istituzionale non esiste nessun aiuto per arginare questo fenomeno, e anzi, la medicalizzazione spinta è quella di considerare questi aspetti come “sintomi” di un qualche disturbo psichico, con le conseguenti segnalazioni ai servizi specialistici per le valutazioni neurocognitive, o ai servizi sociali. Eppure tanti comportamenti di prebullismo, o di bullismo scaturiscono da situazioni molto semplici e banali: da atteggiamenti di prepotenza, di arroganza, di prevaricazione da parte di un bambino su un altro, spesso più piccolo o più debole. Nessuno, però, sembra in grado di assumersi la responsabilità al posto del bambino; lo si lascia solo, senza fornirgli una guida e insegnamenti per quanto attiene ai principi etici e morali nella costruzione della sua personalità. È questo che crea il problema e lo rende ingovernabile. Quando poi questa situazione diventa ingestibile scatta l’invito di rivolgersi al pediatra, o al neuropsichiatra o ai servizi sociali. E così il problema da educativo e relazionale diventa clinico; il bambino maleducato diventa un bambino con un disturbo mentale.

Il bullismo. Per un’evidente scelta di abdicare da certi ruoli fondamentali e per orientamenti culturali che oggi diventano sempre più colpevoli, il bullismo è diventato una modalità comunicativa, uno stile relazionale assolutamente normale, che oramai attraversa a tutti i livelli tutte le generazioni dal basso all’alto, dentro e fuori dalle scuole ed è accettato, dato per scontato da genitori e insegnanti, e, purtroppo dagli stessi bambini. Al contrario, è sbagliato, puntare il dito sui bambini o sui ragazzi: è piuttosto necessario e urgente spostare l’attenzione sul comportamento degli adulti, genitori e insegnanti, che inconsapevolmente commettono errori di tipo relazionale, comunicativo, educativo. Nel 2002 ho assistito agli albori di quello che poi è cresciuto come il mostro presente in tutte le scuole.

Il contributo. Paolo Sarti, intrepido pediatra della ASL di Firenze, in un accorato intervento nel 2008, avverte: “stiamo producendo figli insicuri, poco dotati di autonomia e soprattutto poco muniti di quelle fondamentali doti che rendono gli individui forti, liberi, capaci e sociali: la tolleranza e l’adattabilità.” (“Neonati maleducati”- Giunti 2008). Bambini capaci di soccombere per un insuccesso scolastico fino a farci registrare un inquietante aumento di suicidi adolescenziali, per fallimenti spesso minimali e futili motivi. O, all’opposto, istericamente aggressivi, con gestualità minacciose e sfidanti, anche solo per festeggiare un successo sportivo strappato con ossessiva tenacia, solitamente priva di regole e di rispetto.” (“Facciamola finita! Appello urgente ai genitori”- 2011). Non si considera quasi mai che, in realtà, tutti questi bambini soffrono.

La mia esperienza: il Metodo. Nella mia personale esperienza dentro le classi per ben 15 anni, ho avuto modo di vedere la sofferenza di tanti di questi bambini. Per rendere giustizia ai bambini ho pensato ad un metodo educativo diverso; il suo nome “Metodo Educativo Globale – basato sulla Persona – orientato sulla Conoscenza – Matrioska® ”, deriva dai tanti aspetti che si sviluppano di volta in volta uno accanto all’altro, per poi ricompattarsi, uno dentro l’altro, nel grande contenitore da cui tutto deriva: la relazione dei bambini con gli adulti e viceversa, dei bambini tra di loro, dei bambini con il mondo esterno. Questo metodo è nato dentro le classi, con i bambini, perché costruito sull’individuazione delle loro necessità. Mi trovavo infatti a lavorare, come psicologa/psicoterapeuta della ASL RMG del Servizio di Neuropsichiatria Infantile, all’interno di alcune classi di una scuola primaria. Le teorie cognitiviste di allora escludevano ogni interesse per gli aspetti emotivi, eppure io avevo sempre più l’impressione che tutta una serie di comportamenti disturbanti e disturbati di tanti bambini, tante difficoltà ad imparare erano strettamente in relazione con veri e propri errori di relazione e di comunicazione da parte degli insegnanti che creavano un disagio emotivo forte nei bambini. Era proprio questo che li bloccava. Non solo, ma spesso il sentimento di frustrazione li portava a reazioni o di opposizione e aggressività a vari livelli, o di isolamento. Quindi, contrariamente a quanto si sosteneva, la disattenzione alle loro difficoltà affettive ed emozionali, era la causa di tante difficoltà. Non solo: un altro aspetto che risultava evidente era che i bambini avevano un bisogno imperante di ricevere una guida: lasciarli senza limiti dava loro angoscia. Quindi anche la rinuncia al principio dell’autorità, veniva messa sotto accusa. Ho incominciato quindi a modificare, pezzo su pezzo, tante modalità che vedevo non corrette, proponendo alternative alle maestre e insieme organizzavamo interventi differenti in modo da metterle direttamente a verifica. Era un “ribaltamento della zolla” totale. Anche in classe, quindi, con la Matrioska il rispetto per le necessità emotive dei bambini fa sì che venga privilegiata la strutturazione di rapporti di amicizia e di collaborazione. È stato estremamente emozionante assistere ai cambiamenti che avvenivano nei bambini. Nel 2013, in virtù dei risultati raggiunti, ho voluto raccogliere e condividere la mia esperienza in “Un amore di scuola”, ed. Albatros 2013. A dispetto del più retrivo orientamento dell’istituzione italiana, che tiene lontani gli psicologi dagli istituti scolastici, il metodo si basa sulla cooperazione stretta tra psicologia e didattica. Questa è la caratteristica fondamentale davvero rivoluzionaria. Oggi, la pedagogia non basta più: è indispensabile l’intervento della psicologi non indirizzata esclusivamente all’individuazione di problemi di rilevanza clinica ma dedicata a quegli aspetti che determinano, condizionano, migliorano, ottimizzano tutti gli apprendimenti: cognitivo, relazionale, emozionale, personale (come conoscenza di sé), sociale. Il Metodo Matrioska® , d’altra parte, rappresenta la realizzazione concreta, già attuata, delle più recenti scoperte scientifiche, ad opera di numerosi neuroscienziati, che confermano e danno valore i suoi punti fondanti. In primo luogo quello che avevo verificato con i miei occhi: che la capacità di utilizzare la nostra mente al massimo delle sue potenzialità non ha a che fare tanto con la stimolazione delle aree deputate alle funzioni cognitive, ma anche, e in maniera preponderante con EMOZIONI e SENTIMENTI. (Rizzolatti, Damasio, Medina e altri). La testa non è più, dunque l’unico organo preposto all’apprendimento. Anzi, per imparare la testa deve essere al servizio del “cuore”, ovvero dell’emisfero cerebrale destro, quello delle emozioni. È il totale ribaltamento del cognitivismo. E ancora: la scienza ha scoperto che l’EMPATIA, la qualità della RELAZIONE, la capacità di sentire le emozioni degli altri, partecipa alla formazione dell’intelligenza cognitiva e sociale. Nella cosiddetta natura umana coesistono aggressività e fratellanza: che l’una prevalga sull’altra dipende dall’ambiente in cui nasce e cresce il bambino e dall’educazione. Nelle classi Matrioska il bullismo non trova terreno che lo alimenti, così come non esiste paura, odio o resistenza verso la scuola: i primi semi, completamente emozionali e psicologici dell’abbandono scolastico, l’altra piaga.

Conclusioni. Se davvero si vuole non solo contrastare, ma perfino risolvere il problema del bullismo, la risposta c’è: vera, efficace e risolutiva: è la PREVENZIONE. È questa la chiave di lettura che porta a stabilire la necessità di privilegiare situazioni che non consentano l’instaurarsi nei bambini di condizioni di malessere. D’altra parte la necessità, in quanto adulti, genitori e insegnanti, di recuperare la funzione, di fondamentale importanza, di guida continua e costante che li accompagni per tutta la loro crescita Così è addirittura possibile proiettare in un numero di anni fisiologicamente necessari il risanamento consistente di queste due piaghe: l’ abbandono scolastico e il famigerato bullismo.

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