di LUCA PACCUSSE – Un luglio caldo nelle strade di Genova, caldissimo. L’aria che si respirava intorno al G8 organizzato nel capoluogo ligure era già pesante ancor prima di iniziare. Al contro-vertice che si svolse per le strade della città, parteciparono coloro che si opponevano allo strapotere politico, economico e militare degli otto paesi più industrializzati del pianeta e dell’ideologia neoliberista che portavano avanti insieme alle organizzazioni sovranazionali (come l’Organizzazione Mondiale del Commercio e il Fondo monetario internazionale). Attivisti da ogni parte d’Europa e del mondo si diedero appuntamento in una città blindatissima, pensando legittimamente di far sentire la propria voce su tematiche che stavano inghiottendo le nostre vite senza che ce ne stessimo accorgendo, diventando invece vittime di una scia di disordini e violenze, per cui è tristemente famoso quel summit. Situazioni peraltro già viste alla conferenza del WTO a Seattle nel 1999 o al vertice UE di Goteborg un mese prima. I poteri mondiali stavano fronteggiando in quegli anni il dissenso no-global in ascesa e nei mesi precedenti al vertice di Genova, a livello europeo e statunitense, vennero pianificate le modalità con cui contrastare le manifestazioni. Non è un caso che in quelle giornate si verificarono violenze sotto gli occhi di tutti, che portarono anche all’uccisione del giovane Carlo Giuliani. Cariche della polizia e dei carabinieri, lacrimogeni e manganellate, spesso contro manifestanti non violenti, più che nei confronti dei Black bloc, alcuni dei quali infiltrati, come dimostra l’ammissione della polizia inglese pochi mesi fa: uno di loro, Rod Richardson, era un poliziotto, che assunse l’identità di un bimbo morto e visse sotto copertura tra i movimenti anarchici inglesi per almeno quattro anni, partecipando anche al G8 di Genova nel 2001. Non sono casuali nemmeno gli episodi di violenze avvenuti nella scuola Diaz e nella caserma Bolzaneto la notte tra il 21 e il 22 giugno, quella “macelleria messicana” come la descrisse Michelangelo Fournier, allora vicequestore aggiunto del primo Reparto Mobile di Roma, uno dei “pentiti” tra i presenti: “I poliziotti picchiavano persone inermi. Quattro agenti infierivano su una ragazza con la testa spaccata, a terra in una pozza di sangue. Ero terrorizzato”.

Quella notte la celere fece irruzione nella scuola elementare Diaz, dove alloggiavano 93 attivisti del Genoa Social Forum, l’organizzazione che raccoglieva tutte le anime no-global, che nulla avevano a che fare con i disordini per le strade e iniziarono a picchiarli furiosamente con manganellate, calci, lanci di sedie, accompagnando minacce del tipo “nessuno sa che siamo qui, vi uccideremo tutti!”. Un sistematico ed ingiustificato uso della forza, che colpì chiunque, come l’inglese Mark Covell, che nonostante avesse cercato di spiegare che era un giornalista, subì la frattura di una mano e di otto costole, la perforazione di un polmone, la perdita di 16 denti e finì in coma per 14 ore. Dopo l’attacco 63 feriti furono portati in ospedale, mentre altri passarono la notte nella caserma del reparto mobile di Genova Bolzaneto, dove oltre a impartire anche lì violenze fisiche e psicologiche assimilabili alla tortura, gli esponenti delle forze dell’ordine si lasciarono andare a minacce a sfondo sessuale nei confronti di alcune manifestanti e a invocazioni a dittatori e a sfondo razzista. “Alcuni detenuti non capivano come fare le flessioni di routine previste dalla perquisizione di primo ingresso in carcere. Meno capivano e più venivano picchiati a pugni e calci dagli agenti della polizia penitenziaria. Gli ufficiali, i sottufficiali guardavano, ridevano e non intervenivano” dichiarò uno dei testimoni dei fatti, Marco Poggi, infermiere penitenziario, in servizio alla caserma quella notte. Ora, a distanza esatta di 16 anni, dopo processi che si sono conclusi con alcune condanne, varie assoluzioni e molte prescrizioni, è stata approvata dal Parlamento una legge che prevede l’introduzione del reato di tortura nel nostro codice penale. Un’assenza che finora era stata rilevata, proprio in riferimento ai fatti di Genova, anche dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, che nel 2015 qualificò come “tortura” le azioni della polizia alla Diaz e poi ancora pochi mesi fa, quando ha condannato l’Italia definendo le sue leggi “inadeguate” a punire e prevenire gli atti di tortura commessi dalle forze dell’ordine.

Condanna emessa in seguito al ricorso presentato da diverse vittime di quella drammatica notte, 6 dei quali sono stati risarciti dallo Stato italiano dopo aver trovato l’accordo per un patteggiamento. La nuova legge introdotta in Italia potrebbe contribuire a fare giustizia per quella che Amnesty International ha definito la “più grande sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Seconda guerra mondiale”. Il condizionale è d’obbligo. Perché questa legge, così come è stata approvata dalla Camera, potrebbe non essere adatta a punire adeguatamente episodi come quelli di Genova, hanno dichiarato i magistrati che si sono occupati dei fatti del G8, ed è per questo che viene adesso contestata proprio da uno dei suoi promotori, Luigi Manconi e dalle organizzazioni che si occupano di diritti umani come Amnesty. La norma infatti non punisce i singoli atti di tortura, ma solo quelli reiterati e non definisce la tortura come un reato compiuto da un pubblico ufficiale, ma come un reato comune o generico, con una pena prevista da 3 a 10 anni. Il fatto che a commettere il reato sia un pubblico ufficiale, da elemento costitutivo del reato – come viene considerato nella Convenzione ONU contro la tortura – diventa per la legge italiana solo un’aggravante. Inoltre la vittima deve dimostrare di aver subito un “verificabile trauma psichico”, il cui accertamento potrebbe essere difficile dato che i processi per tortura si celebrano in genere a notevole distanza di tempo dai fatti. Meglio di niente, si dirà, ormai è questa la moda. Sarebbe curioso però se davvero una legge volta a riempire quel vuoto normativo non potesse essere applicabile alle vicende che hanno spinto maggiormente alla sua creazione.

Condividi!

Condividi quest'articolo dove vuoi.