I film biografici ormai costituiscono una percentuale significativa della programmazione cinematografica. Sarà carenza di ispirazione o forse il fascino della frase “tratto da fatti realmente accaduti”, ma le vite dei personaggi più disparati, miti o figure misconosciute, sono state saccheggiate alla ricerca di spunti narrativi interessanti, arrivando a narrare storie talora insignificanti o scadendo nella banale aneddotica. Nelle sale sono ora contemporaneamente presenti due film che si distinguono sia perché dedicati a delle vere e proprie icone, ma soprattutto perché rappresentano due modi radicalmente opposti di trattare il film biografico: “Bohemian Rhapsody”, incentrato  sulla vicenda di Freddie Mercury e dei Queen e “Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità”, omaggio al rivoluzionario pittore olandese. Due vite diverse di uomini accomunati solo dal fatto di essere oggi idolatrati; due lenti dalla focale opposta per inquadrarle. “Bohemian Rhapsody” è il grande successo della stagione. Campione di incassi ovunque, recente vincitore del Golden Globe, ha fatto versare fiumi di lacrime a tutti i nostalgici fan del grande vocalist. Il film fa leva, oltre che sulle celeberrime canzoni dei Queen, su una riproduzione fotografica della realtà, culminante nell’incredibile performance di Rami Malek, capace più che di interpretare, di diventare Freddie Mercury in ogni sua minima movenza. Film fatto per piacere, con una sceneggiatura ben scritta e scorrevole, ampiamente edulcorata sotto la supervisione dei sopravvissuti Brian May e Roger Taylor, con una tensione narrativa minima che risolve nel climax finale, con la ricostruzione fedele della storica esibizione al Live Aid del 1985. Buoni (i Queen, ovviamente) e cattivi, spruzzate di sentimento, brani popolari, un personaggio amatissimo: i semplici ingredienti di una ricetta di sicuro successo, comunque cotta a puntino. In “Sulla soglia dell’eternità” il regista Julian Schnabel (anch’egli pittore) ci conduce ad intraprendere un viaggio ben più difficile, quello nell’animo perturbato di Vincent Van Gogh. Sorretto dall’intensissima interpretazione di Willem Dafoe, realizza quindi un film cupo, difficile da digerire, poco attento alla vicenda storica, comunque presente. Con disturbanti movimenti della camera a mano, deviazioni dalla messa a fuoco, una fotografia talora tetra, talora squillante di luce, cerca l’impossibile: restituire allo spettatore quello sguardo che, come è evidente a chiunque ammiri un quadro di Van Gogh, era capace di vedere ciò che è invisibile gli altri. Beare con una facile emozionalità o toccare corde segrete e proibite, compiacere o turbare, divertire o angosciare. Si può raccontare una vita estraendone una favola che scaldi il cuore o immergendosi nel nero mare di ciò che è al di sotto della pura vicenda biografica. Le strade sono entrambe lecite. A noi scegliere quale biglietto acquistare.

ECCO LA PAGINA DI QUI NEWS NELL’EDIZIONE DEL 17 GENNAIO 2019

Condividi!

Condividi quest'articolo dove vuoi.