di ELEONORA FESTUCCIA

Passo Corese non era come lo conosciamo oggi: su via Garibaldi c’era la vecchia farmacia, proprio a ridosso del passaggio a livello. Da quelle parti il bar di Dario Tranquilli era uno dei punti di ritrovo più battuti, poco più avanti, affacciata alla finestra, Antonietta aspettava il ritorno dei figli Nicola e Franco che, arrivati sotto casa, la chiamavano a voce alta… “Mamma, butta la pasta!”, quella richiesta risuona ancora in testa e non sembrano affatto passati quasi cinquant’anni. Il ricordo di quel timbro di voce è così nitido, non pare sbiadito di un giorno.

Francesco, per tutti Franco, è il maggiore dei suoi quattro figli, un bel ragazzone, alto e robusto, dallo sguardo fiero, ma allo stesso tempo umile. Quel figlio ha stupito e spiazzato tutti; sin da quando era piccolo, c’era qualcosa di straordinario in lui: a tre anni sapeva leggere, non ho idea di come avesse imparato, visto che non aveva neanche potuto frequentare l’asilo per motivi di salute – racconta mamma Antonietta – sta di fatto che, in prima elementare, la maestra mi disse di lasciarlo a casa per un paio di mesi, perché Franco si annoiava, essendo “troppo avanti” rispetto al programma scolastico. Anche a casa non si risparmiava, mi aiutava nelle faccende domestiche, sempre presente anche con i fratelli Nicola, Roberto e Anna. I suoi gesti erano di una dolcezza infinita: sapeva che amavo le ortensie, così spesso le lasciava di fronte al portone e poi mi faceva aprire la porta per farmele trovare.

Il ragazzo ha fame di sapere e apprende come una spugna, ma non solo dai libri, anche dalle esperienze più semplici e genuine. Capita che la sveglia suoni alle 4 del mattino per accompagnare a Roma Adele, a prendere i fiori per il suo negozio. Lo fa solo per gioia di condivisione, per essere d’aiuto. Affianca il veterinario nei lavori giornalieri e ospita una schiera di ragazzi in casa, che aiuta con i compiti, senza chiedere alcuna ricompensa. Franco è appagato come non mai da esperienze e racconti di vita, come quelli di suo zio, che era stato partigiano; di continuo chiede anche alla mamma di parlargli della giovinezza negli anni della guerra.

Poliedrico come pochi sanno essere, suona anche la chitarra in un gruppo storico di Passo Corese: Gli Astri. Al suo fianco Gianni Sacchetti, Ugo Olivieri (che sostituisce quasi subito Enzo Moccia alla batteria), Angelo Bisello e un tale Pepsi Cola, così rinominato perché gran bevitore della bibita americana. Tutti nella band avevano un nomignolo – racconta Ugo – io ero detto bimbo, Gianni era Il lord e Franco, per la sua stazza inconfondibile, era Cecione. Il tempo passa a suon di Beat: anche nella musica Franco era una vera spada – racconta Giovanni Meschini, suo storico amico – ricordo che un paio di giorni dopo l’edizione di Sanremo del 1967, riuscì ad improvvisare le canzoni suonate pochi giorni prima al Festival, andando solo ad orecchio, senza nessuno spartito, trascinando con sé tutto il gruppo.

E se lo ricorda bene anche Ugo: uno di quei pezzi era “Bisogna saper perdere” dei The Rokes – racconta. Ai tempi facevamo le prove in una soffitta di via XXIV Maggio, quando abbiamo iniziato Franco aveva 17 anni e nel ‘67 sfiorammo anche il Cantagiro, vincendo ben cinque selezioni. Nello stesso periodo fummo notati addirittura dal maestro Enrico Simonetti (compositore e conduttore televisivo dell’epoca ndr). Franco era l’anima del gruppo, era un vero spasso vedere lui e Gianni battibeccare sulle questioni politiche, uno a sinistra l’altro a destra, ma sempre e comunque con spensieratezza, col sorriso sulle labbra. Suonava la chitarra di accompagnamento: sia a sei che a dodici corde e, potevi starne certo, un paio a sera le faceva saltare! Un giorno – racconta sempre Olivieri – si presentò alle prove con la faccia gonfia: aveva preso una scarpinata. Anche il calcio era tra le sue passioni, giocava col Passo Corese.

Dove c’è aggregazione e il piacere di stare insieme, Franco c’è. E trascina con sé tutti, coetanei e non. Ma il vero grande amore, la passione della vita, arriva nel 1970. In quell’anno, due giovani coresini si iscrivono al Partito Comunista. Sono proprio Giovanni Meschini e Franco Sacco. Franco ha un passato recente di vita partecipata in parrocchia, nell’azione cattolica. Era stato chierichetto e aveva giocato parecchie partitelle insieme a Don Rodolfo, ma qualcosa in lui scatta con l’inizio dell’Università. Sono gli anni della contestazione studentesca e scopre la sua grande vocazione: la Politica.

Si appassiona alle cause nazionali e internazionali fanno parte di quei suoi anni le battaglie studentesche e per i diritti dei lavoratori, ma anche le veglie contro la guerra in Vietnam e le assemblee locali o all’Università. In poco tempo si guadagna la stima di personaggi storici del territorio: dall’allora Sindaco Vladimiro Sorapaola fino a Nino Tanteri, uno dei più grandi dirigenti che la sinistra farense abbia mai conosciuto. Tutti fanno spazio a questo giovane destinato a fare cose grandi, ma come sempre lui si rivela tanto grande anche perché trae forza da azioni estremamente semplici e umili: lo conobbi nel 1970, ero appena arrivato a Passo Corese e non conoscevo nessuno – racconta Armando Bianchi – lui faceva dei lavoretti di manutenzione al bar di Dario Tranquilli, verniciava le ringhiere ed in cambio non si faceva dare altro che le sedie per la sezione. Lo vidi proprio al bar la prima volta e subito mi accolse portandomi alla sede del partito. Il suo sorriso fu il mio benvenuto a Passo Corese.  La sezione dove arriva Armando Bianchi è nata in paese proprio grazie all’impegno di Franco che, con l’inseparabile Giovanni, in quei mesi ha portato avanti un lavoro di organizzazione mai visto prima. Credevamo così tanto nella partecipazione diretta di tutti – racconta Meschini – che abbiamo lavorato affinché ogni frazione del Comune avesse una sua sezione, un punto di incontro e aggregazione. Talocci, Borgo Quinzio, Canneto, Corese Terra… in pochi mesi tutti i paesi avevano il loro ritrovo. Un risultato mai visto prima, se si pensa che fino ad allora le riunioni si svolgevano nelle abitazioni private. A Passo Corese pensammo a tutto, anche ad intonacare il locale per renderlo presentabile. Poi, gonfi d’orgoglio, andammo in via delle Botteghe Oscure accompagnati da Nino Tanteri, per prendere del materiale di arredamento.

Meno di due anni dopo Franco è Sindaco. No, non stiamo perdendo qualche pezzo per strada, la sua ascesa è davvero così veloce, ma non perché qualcuno abbia avuto fretta, semplicemente perché il ragazzo lascia tutti a bocca aperta. Una scalata mai vista all’interno del partito, tutti si tolgono il cappello. Politici di esperienza e avversari di partito, nessuno escluso. Franco si spende anima e corpo per le cause in cui crede e soprattutto per la comunità nel suo insieme. Quello che non poteva accettare – racconta mamma Antonietta – era il divario che separava le classi agiate da quelle più povere. I suoi ideali erano comunisti, ma trasmetteva valori che in fin dei conti erano affini a quelli cristiani.

Franco in quegli anni è l’incarnazione del Politico per eccellenza, nell’accezione weberiana del termine: si distingue per passione, senso di responsabilità e lungimiranza. In pochissimi mesi da Sindaco inizia un lavoro che avrebbe dovuto portare Fara molto in alto: istituisce il primo ufficio tecnico comunale, una vera novità per una realtà delle dimensioni di Fara Sabina se si pensa che in quegli anni solo le grandi città ne avevano uno, lavora tanto sulla trasparenza dell’amministrazione – ricorda Bruno Palumbo, suo braccio destro in Comune – contro ogni forma di clientelismo in tutti i settori, con particolare riguardo a quello edilizio. È lui che inizia a pensare al potenziamento della linea ferroviaria metropolitana e dei servizi pubblici, ma anche alla messa a punto del sistema idrico locale per garantire accesso all’acqua a tutti i cittadini. Era diventato un punto di riferimento come amministratore e politico, non solo a Fara, ma ormai in tutta la Provincia. Anche da Rieti guardavano verso di lui.

Non solo Sindaco, Franco vince anche un concorso come impiegato al Comune di Magliano. Nelle selezioni – ricorda sempre Palumbo – aveva sbaragliato la concorrenza su tutti i temi legati all’amministrazione contabile degli enti locali, ancora una volta aveva ricevuto complimenti e approvazioni in ogni dove. La mattina lavora a Magliano, ma appena arriva a Passo Corese si occupa quotidianamente dell’amministrazione farense e – come ricorda  mamma Antonietta – contemporaneamente era studente universitario di Scienze Politiche. Una vita frenetica, praticamente senza pause, devota alla passione politica e alla battaglia contro le ingiustizie sociali. Tuttavia, la sua visione non è mai appiattita al partito, ma sempre ragionata e mediata. Tanto che – ricorda Bruno Palumbo – credo che lui cercasse una “terza via”, aspirava ad una sintesi che racchiudesse in sé il buono del comunismo e del capitalismo. Franco sarebbe arrivato lontano, questo è un parere unanime, che mette d’accordo chiunque abbia assistito ai suoi discorsi, chiunque abbia visto questo ragazzo nei suoi comizi lungo tutta la Provincia di Rieti.

Un giovane Sindaco, il più giovane in Italia, partiva con la sua schiera di amici e fedeli compagni, riempiva le piazze come nessuno aveva mai fatto. Alcuni lo ipotizzavano futuro deputato, altri addirittura Ministro. Certo per noi è ugualmente ONOREVOLE, anche se la sua corsa fu interrotta da un colpo di sonno in quella notte del primo giugno 1972, quando non aveva ancora compiuto 23 anni. A bordo dell’auto, accanto a lui, il bilancio consuntivo che aveva portato a Rieti quella sera, dopo un’altra giornata interminabile: prima come impiegato, poi come Sindaco e infine, PER SEMPRE, come politico e uomo che ha fatto grande Fara Sabina. La vita non fu più la stessa per quei compagni che tanto avevano sperato al suo fianco. Ai funerali sentivo che qualcosa era perso per sempre, non riuscivo ad accettare che tutto si fosse esaurito così rapidamente – racconta ancora Giovanni.

Era impossibile pensare di aver perso un figlio, un fratello, un amico, un compagno e un Politico tanto grande per tutti. Tanto si era speso, oltre ogni limite, guidato dalla sua estrema intelligenza e da un sentimento di amore puro per la gente di Fara. Ma quel giorno le porte della chiesa erano chiuse. La piazza era stracolma di cittadini di ogni colore politico. Tutti attoniti e con i volti colmi di lacrime, ma fuori solo un freddo avviso. Il parroco non avrebbe accettato l’ingresso del Sindaco comunista. Lo stesso parroco che con Franco aveva giocato a pallone, lo stesso che fino a qualche anno prima si era fatto servire messa da lui. A nulla valsero le proposte dei compagni che avrebbero lasciato fuori le bandiere. Franco non entrò in chiesa. Ma entrò di diritto nella nostra storia, così come nei nostri cuori, e da lì non se ne andrà mai più.

Un uomo onesto – così vuole che sia ricordato Antonietta. Un uomo grande, che guidato da una passione straordinaria ha regalato un sogno indelebile a Fara, scolpito per sempre nella nostra memoria. Un onore averlo vissuto, anche solo dai racconti dei nostri padri. Grazie Franco!

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