In uno scialbo finale di stagione colpisce l’esordio alla regia di due giovani gemelli romani, Damiano e Fabio d’Innocenzo. “La terra dell’abbastanza” è la storia di due ragazzi che per caso si vedono catapultati da una realtà senza allettanti prospettive al miraggio di ricchezza offerto dalla carriera criminale. Se i registi si impongono all’attenzione per la potenza del loro linguaggio visivo, se i due giovani interpreti, Andrea Carpenzano e Matteo Olivetti, si fanno notare per la veridicità della loro recitazione e il physique du rôle da ragazzi di vita, è indubbio però che la vera protagonista del film sia la periferia romana in cui i personaggi si muovono. È un vecchio amore quello fra il cinema e questo contesto così particolare e foriero di continua ispirazione. Pasolini fu profeta inascoltato: nella borgata vide la materializzazione del suo discorso sui pericoli del consumismo e sulla perdita di purezza della società contadina. Tanto cinema ha invece dedicato attenzione alla borghesia, alla crescita piena di speranze fallaci, alle sue contraddizioni e infine alla ineluttabile decadenza. E la Vespa di Nanni Moretti arrivava a Spinaceto come in un mondo sito oltre le colonne d’Ercole. Nel pieno di una crisi non solo economica, il cinema ha riscoperto la periferia. Ha iniziato Claudio Caligari, regista fuori dalle logiche dello star system. In “Non essere cattivo”, film che ha lanciato due attori di successo come Luca Marinelli e Alessandro Borghi, si muove nella Ostia che oggi tanto spazio trova sulle cronache. Altri autori, spesso giovani, hanno seguito in questi anni il vecchio maestro. In “Cuori puri” Roberto De Paolis narra l’amore impossibile fra una ragazza educata nel rigore della religione e un giovane scapestrato. In “Sole, cuore, amore” Daniele Vicari racconta la straziante vicenda di una vittima del lavoro precario. “Fiore” di Claudio Giovannesi entra nel mondo dei riformatori. Ma non c’è solo neorealismo. In “Lo chiamavano Jeeg Robot” Gabriele Mainetti colloca a Tor Bella Monaca la casa del suo romanesco supereroe. Nel recente “Dogman” di Matteo Garrone le costruzioni fatiscenti disegnano invece un luogo metafisico, come le pitture di Sironi.
È naturale che il cinema cerchi ispirazione nella periferia. Nella desolazione dei palazzi anonimi, nel degrado delle vie senza bellezza, grande o piccola che sia, laddove la vita diventa fatica e la speranza è una luce fievole, ci sono ancora storie da raccontare. Nell’inarrestabile decadenza della nostra società, la periferia è ancora viva. Ma il suo sviluppo è quello di un informe tumore. Talvolta però capita che fiori spuntino dall’asfalto. Solo l’occhio del cinema potrà farceli vedere.

ECCO LA PAGINA DI QUI NEWS NELL’EDIZIONE DELL’11 LUGLIO 2018

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