> AUDIO INTERVISTA CON GIORGIO CALCATERRA <

Passo dopo passo, nel viaggio di sola andata verso il traguardo, gli occhi cercano immagini da custodire gelosamente, frammenti di mondo da collezionare. Al proprio fianco una sola, fedele compagna: la strada. Dentro di sè il sorriso e l’orgoglio di chiamarsi runner. È questa forse la breve descrizione di ciò che ogni podista prova, quotidianamente, mentre chi lo guarda non si spiega il perché di tanta avidità nel cercare sempre nuovi chilometri da “mangiare”. C’è un mondo dietro la corsa, fatto di cose che – parafrasando blade runner – “voi umani non potete neanche immaginare”: un mondo fatto di battaglie con se stessi e rivalità sana, di “miti” che forse non riempiono le copertine con gossip o maglie baciate, ma sanno scolpire le proprie gesta nella mente e nel cuore di chi quelle gesta ha sempre sognato di compierle.  È il caso, questo, di Giorgio Calcaterra, professione campione, atleta inimitabile. Classe 1972, romano DOC, Calcaterra ha da sempre un amore incondizionato per la corsa, e di certo ha onorato al meglio il sentimento che lo lega anima e corpo all’arte di “assaggiare il vento”: nel 2000 stabilisce il record mondiale di maratone finite in un anno sotto le 2h e 20’ (16), 3 volte campione del mondo di ultramaratona (corsa su strada di 100 km), ben 11 volte vincitore della 100 km del Passatore, gara epica e durissima che conosce solo il suo nome sul gradino più alto del podio dal 2006; insomma, parliamo non di un atleta ma dell’Atleta, il prototipo del campione.
Quinews ha l’onore di intervistarlo in esclusiva, con il preciso intento di portare su queste pagine l’accezione più nobile della parola Sport.  (a cura di FRANCESCO FESTUCCIA)

di SIMONE IPPOLITI

Quella primavera del 1982 e la prima volta di Giorgio tra il Colosseo e il Circo MassimoSono nato e cresciuto a Trastevere e un giorno insieme a papà vedemmo una locandina della stracittadina di Roma. Da lì iniziò tutto e mi appassionai al mondo della corsa. Ho un ricordo bellissimo di quel 14 marzo: c’era tanta gente, mamme con i passeggini, chi invece partecipava con al fianco il proprio cane. L’immagine che però non dimenticherò mai è quella dell’abbraccio con mio padre che mi attendeva al traguardo. Da quel giorno, di domenica in domenica, cominciai a fare gare anche nella zona sabina partecipando per più di un’edizione alla Maratonina del Partigiano a Poggio Mirteto. Ormai parliamo di più di trenta anni fa! Quello della corsa – continua Giorgio – era un ambiente in cui stavamo bene. A differenza di altri bambini non avevo un programma di allenamento da seguire e in molti mi dicevano che così mi sarei fatto male. Io invece pensavo solo a correre su strada e per fortuna ho fatto di testa mia…

Giorgio insieme al Papà Antonio

Dal tassametro alle scarpe da corsa. La crescita professionale e quell’hobby pronto a diventare un lavoro Dopo aver fatto il militare, presi la licenza da tassista. Era un lavoro che mi permetteva di organizzarmi con gli allenamenti. A volte infatti – ricorda Giorgio – correvo la mattina prima del turno e poi alle dieci di sera, quando ormai Villa Pamphili era chiusa, andavo nella zona di Caracalla. Col crescere poi ho cominciato a prepararmi per le maratone e arrivarono anche le prime vittorie. In quel momento ho capito che la corsa poteva diventare il mio nuovo lavoro. Sin da ragazzo – precisa Giorgio – non ho mai avuto uno sportivo di riferimento a cui ispirarmi. Se proprio devo indicare una persona, è mio padre. Ammiravo il suo modo di affrontare le gare con spirito goliardico, senza alcuna ansia.

100 km tutti d’un fiato, una disciplina che però non rientra nel programma olimpico – A mio parere andrebbe inserita, perché ormai la classica maratona che si estende su una distanza di 42 km, è diventata quasi una gara di velocità. Si tenta di percorrerla sotto le 2 ore, mentre una 100 km è resistenza pura. Nel 2000 – racconta Giorgio – ero il settimo in Italia e il mio record personale sui 42 km era di 2h e 13’, un tempo che oggi mi avrebbe permesso di prendere parte alle Olimpiadi. In quegli anni però non fu così: si correva con tempi più bassi, ma poi diversi atleti furono trovati dopati. Probabilmente, se non ci fossero stati loro, avrei avuto l’opportunità di partire per i Giochi Olimpici.

La brutta piaga del doping e il caso SchwazerChi si dopa dovrebbe essere squalificato a vita. Non conosco alla perfezione la vicenda Schwazer, ma dopo il primo episodio accertato (Londra 2012 ndr), non avrebbe dovuto partecipare alle Olimpiadi. È un reato, chi lo commette non dovrebbe essere riconvocato in nazionale e per me è giusto che non corra più. A chi si dopa – continua Giorgio – ho poco da dire. È come parlare con i muri, perché chi lo fa è convinto e ti dice “Eh…ma tanto si dopano tutti”. Servono pene più severe. Chi fa uso di doping sta rubando, ha rubato la fiducia delle persone. Dovrebbe essere considerato un reato penale. Ho sempre combattuto il mondo del doping e infatti non mi hanno mai proposto nulla, nemmeno quando ero più giovane e meno conosciuto.

Il piacere della corsa, l’amore per lo sport e i veri valori da trasmetterePer correre c’è bisogno di serenità. Dico spesso che non è correndo più forte che si va più forte, ma correndo più piano, per essere più costante e durare di più. La corsa per me è come un bel viaggio, un posto da scoprire, nuove persone da conoscere. Per molti invece è percepita come sinonimo di fatica. Questo è un termine che tendo a non pronunciare, non è una bella parola. Per raggiungere determinati risultati nello sport non è vero che ci si debba impegnare all’inverosimile, oltre i limiti umani. I miei risultati – precisa Giorgio – li ho ottenuti ascoltando me stesso, vivendo serenamente gli allenamenti, cercando di migliorarmi, divertirmi e arrivare al traguardo con il sorriso. È questo quello che conta veramente. Anche la sconfitta nel mondo sportivo, viene avvertita negativamente. Il vero insuccesso è quando si rinuncia a priori, non quando si viene superati da un altro atleta. Nel momento in cui accetti la sfida e dai il tuo massimo, la sconfitta per me non ha modo di esistere. Un titolo di un film alla mia carriera? Mi verrebbe da dire “In viaggio con papà”, del resto è lui che mi è sempre stato vicino…

Condividi!

Condividi quest'articolo dove vuoi.