di GABRIELLA TORRE/POGGIO BUSTONE – Era il 9 settembre del 1998 quando una delle voci più belle delle canzone italiana ci lasciava. Dopo quasi 30 anni di carriera, 20 album e 22 singoli, ci lasciava in silenzio, senza che la famiglia rilasciasse comunicati stampa, in osservanza a quella riservatezza che ha sempre contraddistinto il cantautore. Era nato il 5 marzo del 1943 a Poggio Bustone da un impiegato al Dazio e da una casalinga, quel ragazzo con i capelli ricci e quel fazzolettone bianco al collo che nel 1969 si presentava al Festival di San Remo. Un’avventura (prima e ultima sua presenza al festival in veste di autore e cantante) innalza Battisti nel pantheon della musica leggera italiana.

Da lì infatti comincia il rapporto fruttuoso con Mogol e le collaborazioni con grandi nomi della canzone italiana primo fra tutti l’indimenticabile duetto con Mina a Teatro 10 del 1972. Ma cosa è rimasto di Lucio Battisti? Quella voce strozzata in gola, urlata, capace forse meglio di altri suoi colleghi, di parlare al cuore e alla pancia di chi lo ascoltava e di chi lo ascolta ancora adesso. Perché anche se sono passati 18 anni dalla sua dipartita, Lucio Battisti fa ancora parte della nostra vita. Non c’è neofita della chitarra che non abbia iniziato con La canzone del sole e al volante di una macchina ci si chiede ancora se “guidando a fari spenti nella notte è così facile morire”.  Perché le sue canzoni, insieme a poche altre, sono entrate a far parte dell’immaginario collettivo creando nella nostra mente quei quadri di poesia che disegnano il mondo intorno a noi. Un mondo fatto di cinema di periferia, campi di grano, acque azzurre, libellule nei prati e nastri rosa. Lucio Battisti ha parlato dell’amore in tutte le sue sfumature con canzoni che vanno dalle ballad romantiche a quelle in cui l’influenza rock si fa più pressante: perché non esiste un solo tipo di amore o un solo tipo di amante. Francesca, Luisa, Elena e Maria non sono donne eteree, stelle che brillano in cielo, ma sono donne vere che, nelle loro totalità, disegnano i contorni di una donna sempre più consapevole di se stessa che può essere amica ma anche amante.

Un amore che è lotta con se stessi prima di tutto, in cui bisogna sempre scegliere tra il passato e il futuro, tra la paura di cadere e la voglia di volare, tra morire fermandosi o soffrire andando avanti. L’amore che diventa malattia, che non ci fa dormire, in cui il cuore malato vuole solo Il tempo di morire. Perché vogliamo Anna e anche se abbiamo 10 ragazze finiremo per raggiungere la collina dei ciliegi per urlarle che lei era Comunque bella. Luoghi bucolici o metropolitani creano un universo raccontato da parole piccole e comuni, capaci però di grandi slanci poetici. E poco importa se alcuni versi rimarranno per sempre incompresibili: Mogol e Battisti (si pronunciano insieme come un solo nome) hanno creato un mondo dove le Emozioni non devono essere spiegate, si capiscono e basta. E allora, 18 anni sono niente e durano come il battito di una farfalla. Il suo canto libero vola ancora e noi non possiamo fare altro che respirare liberi lontano da tutti, circondati da un’immensità che si apre intorno a noi.

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